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I doveri di un insegnante: il decalogo di Pasolini

Se ci prendessimo la briga di chiedere agli studenti di qualsiasi fascia d'età quanto volentieri frequentino la scuola, immagino che otterremmo un risultato impietoso, una schiacciante maggioranza di quelli che, se potessero, ne farebbero volentieri a meno. Certo, vale lo stesso per gli adulti ed il loro lavoro, con la differenza che la scuola, almeno fino a un certo punto, è obbligatoria. Con la differenza, non trascurabile, che la scuola è luogo imprescindibile di formazione morale e culturale. Dunque, come vengono formati i nostri figli? Ho sentito troppe volte gli insegnanti lamentare un'eccessiva vivacità di certi studenti, l'incapacità di questi giovani o addirittura piccoli, di starsene seduti in un banco per cinque o sei ore, di non riuscire a tacere per tutto quel tempo, a trattenersi dal voltarsi per guardare il volto amico che gli siede accanto. Li ho ascoltati teorizzare di possibili disturbi del comportamento, dell'apprendimento, della personalità, con la prosopopea dell'esperto che la sa lunga. Poi ho visto, di recente, il fenomeno della migrazione di massa di tutti quelli che, trovate chiuse le altre porte del mondo del lavoro, sono approdati al porto sicuro (come il relativo salario) della scuola, passando spesso dall'entrata del sostegno. Tempo fa, nella costruzione del sistema sociale, erano tre le componenti fondamentali: la famiglia, la scuola e la chiesa, di conseguenza, l'insegnante, era una guida per i suoi studenti al pari dei genitori e del prelato. Insegnare era una sorta di missione, una scelta, non un ripiego, ma la precisa volontà di contribuire alla crescita e alla formazione dei cittadini del futuro. Questo generale mutamento della scuola, con ragazzini sempre più frustrati ed insegnanti sempre più insofferenti, ci consegna un risultato in cui "l'Istituzione scuola", non riesce più ad adempiere al proprio ruolo di guida ed, anzi, si rivela luogo oppressivo e limitante rispetto alla possibilità di espressione della personalità degli studenti. Mi preme precisare che non tutti gli insegnanti sono uguali e, certamente, sono moltissimi i docenti che con passione e dedizione svolgono il proprio ruolo ed il proprio lavoro. La riflessione contenuta in queste righe si concentra su un andamento generale, sempre più diffuso, che è facile osservare un po' ovunque. A tale proposito, voglio condividere con voi una sorta di decalogo, frutto di un'attenta analisi e della pratica dell'insegnamento da parte di un autorevolissimo docente. Pier Paolo Pasolini, molto più noto per il suo ruolo di letterato e regista, ebbe anche alcune esperienze da insegnate, dapprima a Versuta, nel 1944, durante la guerra, e successivamente, nei primi anni '50, a Roma. L'esperienza di Versuta fu però quella che lo stesso Pasolini definì come la più formativa e gratificante della sua vita, poiché rivolta a giovani semplici e dotati di maggiore apertura e fantasia rispetto ai figli dei borghesi, già indottrinati e corrotti dal benessere e un certo tipo di ambizioni. Pasolini riuscì a trarre dall'insegnamento delle grandi lezioni anzitutto per sé stesso e, attraverso lo studio e l'osservazione del comportamento dei ragazzi, poté comprendere come, con il giusto approccio e una sincera empatia, si potesse arrivare a scuotere l'interesse degli studenti. Un buon insegnante è colui che dà fuoco alle braci che ciascun bambino, ciascun ragazzo, conserva in un lato recondito dell'anima: lo guida nella scoperta di sé, perché riesca a trovare quella cosa, quell'anelito, che per sempre lo farà sentire vivo.

Vi lascio, punto per punto, la lista dei doveri che, secondo Pasolini, spettano alla scuola e all'insegnante:


· I ragazzi odiano studiare perché lo studio non è avventura, ma noiosa convenzione;

· Se un ragazzo è intelligente ma non studia è a causa dell’insegnante;

· L’insegnante deve essere animatore del processo educativo. Non deve essere oggetto d’amore ma saper provocare amore per l’oggetto di studio, saper suscitare la passione per lo studio, che si autoalimenta;

· L’insegnante deve essere creativo e inventare situazioni dove apprendere sia una scoperta;

· L’insegnante non deve semplificare e abbassare il livello dell’insegnamento, perché ciò non serve al processo educativo. È vero il contrario in quanto il ragazzo non vuole rimanere prigioniero del suo mondo ma è alla ricerca di strade per crescere. E l’insegnante deve offrirgli l’opportunità;

· L’insegnante deve però umanizzarsi, farsi scoprire nei sentimenti, nelle debolezze, nella sessualità, nella quotidianità. Questo mantenendo sempre un profilo culturale alto;

· La scuola deve far cadere tutti i feticci, in primo luogo quello del ruolo dell’insegnante che col suo autoritarismo può solo terrorizzare i ragazzi;

· Nella scuola la poesia è relegata a un ruolo minore in quanto non è ritenuta utile ai processi formativi.. Bisogna invece dare importanza prioritaria alla poesia, perché essa può innescare il processo creativo fine a se stesso, non utilitaristico, quindi puro;

· Si deve cominciare dalla poesia contemporanea perché essa è più vicina per linguaggio e per sentimento a coloro che la devono apprendere,

· Il processo di apprendimento passa attraverso il sentire: percepire emozioni e trovare le parole per esprimerle. Leggere poesia deve voler dire: sentirne le emozioni, scoprire le proprie, associare alle emozioni le scoperte linguistiche per esprimerle;

· Le antologie scolastiche sono insulse e sempre vetuste. Le antologie vanno abolite per essere sostituite da materiali vivi e locali;

· Il dialetto non deve rimanere fuori dalla scuola, esso è fonte primaria di ricchezza della lingua italiana;

· Il fine ultimo della scuola è creare cultura.


Pier Paolo Pasolini

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